17 Novembre, 2016
Il CEMOFPSC organizza una colazione di lavoro dal titolo “Achievements and perspectives. Middle East and the State of Israel”

 

 

Il mondo visto da Israele. L’ambasciatore David sul passato e il presente di uno Stato conteso
di Omar Ebrahime

 

 

E’ da tempo l’unica democrazia mediorientale che si affaccia sul Mediterraneo eppure la sua immagine internazionale, soprattutto nei mezzi di comunicazione sociale,  resta controversa e spesso al centro di vivaci dibattiti. Ma che cosa c’è realmente dietro Israele, lo Stato nazionale più giovane eretto a difesa di uno dei popoli più antichi della storia dell’umanità? E qual è l’idea che gli Israeliani hanno di sé oltre che della propria storia nazionale? A queste domande ha cercato di rispondere l’ultimo evento romano promosso dal Centro Studi sul Medio Oriente, incentrato sul tema “Achievements and perspectives. Middle East and the State of Israel” (Traguardi e prospettive. Il Medio Oriente e lo Stato d’Isralele) affidato al neo-ambasciatore di Tel Aviv presso la Santa Sede, Oren David. Presentato da Giovanni Cubeddu, David ha esordito facendo riferimento al 1948, l’anno in cui è accaduto “il più grande miracolo della storia del XX secolo” e insieme la correzione politica della “più grande ingiustizia” mai perpetrata ai danni di un popolo: il miracolo a cui David si riferisce è ovviamente la creazione dello Stato d’Israele avvenuto proprio in quell’anno in seguito ad un’espressa Risoluzione delle Nazioni Unite in questo senso e l’ingiustizia è quella relativa all’assenza di una propria entità statuale e politica che gli ebrei si sono visti negati per lungo tempo quasi che la diaspora fosse una condizione naturale, e non eccezionale, della propria esistenza collettiva e comunitaria. “Da allora, però, -ha proseguito l’Ambasciatore- la stabilità interna del Paese è stata continuamente messa in discussione, soprattutto a causa delle invasioni improvvise e degli attacchi bellici degli Stati circostanti che non hanno mai accettato la creazione di uno Stato apposito per gli ebrei nella regione: ne sono derivati sette tentativi successivi di sottomissione dello Stato stesso, tutti respinti, che hanno portato però di fatto i governi di Tel Aviv a guardare alla sicurezza nazionale come a una priorità assoluta determinando quella ‘mentalità dell’emergenza sociale’ che è uno dei tratti più caratteristici degli ebrei contemporanei”. D’altra parte, ha fatto intuire l’ambasciatore, se in pochi decenni un popolo ha vissuto prima l’Olocausto hitleriano – che avrebbe dovuto ‘programmaticamente’ cancellare l’intera razza ebraica – e poi una serie di aggressioni improvvise mirate a sottrargli nuovamente quella casa nella terra dei padri tanto a lungo desiderata non si può dire che l’allarmismo di tanti e la paura di subire nuove sofferenze siano ingiustificati.

Nel frattempo il Paese è cresciuto rapidamente e se nel 1948, alla fondazione, la popolazione contava appena 700.000 persone oggi (con il ritorno delle famiglie degli esuli e dei vari rifugiati) è arrivato a superare gli 8 milioni e mezzo: un primato assoluto nella storia recente degli Stati nazionali. Allo sviluppo demografico si è accompagnato inoltre uno sviluppo culturale ugualmente da non sottovalutare. Anche se la Repubblica conserva la sua laicità istituzionale, ad esempio, la rinascita culturale del Paese ha visto negli ultimi anni una ri-scoperta dell’antica lingua ebraica (in cui è stata scritta la prima parte della Bibbia, l’Antico Testamento) e un’analoga diffusione dei fondamenti degli studi biblici nelle scuole, anche statali. Il volume sostanzioso della crescita in generale e di quella economica in particolare, tuttavia, è sicuramente quello dato dal settore ‘Ricerca e Sviluppo’, un comparto sempre più strategico a livello mondiale (si pensi al successo delle ultimissime reti delle start-up on-line o, in senso lato, al campo dell’ingegneria informatica) che attualmente attrae circa il 4,5% del PIL nazionale.

Nella successiva sessione delle domande l’attenzione del pubblico si è concentrata invece principalmente sui termini del conflitto israelo-palestinese e sulle difficoltà nelle relazioni politico-diplomatiche con gli Stati vicini dell’area mediorientale: in merito al primo punto David ha evidenziato come il raggiungimento della pace sul principio dei ‘due popoli-due Stati’ sia senz’altro possibile ma “occorre, da parte palestinese, riconoscere previamente  il diritto all’esistenza senza se e senza ma di Israele, così com’è adesso territorialmente escludendo dai negoziati Gerusalemme, che resta la città santa per gli ebrei (come per i mussulmani La Mecca e Medina), e di cui non è pensabile una cessione in gestione a terze parti, né una condivisione amministrativa comune”. In relazione invece al secondo punto che pure, tuttavia, nelle reti delle alleanze mediorientali ha evidenti ricadute sul primo, l’ambasciatore ha detto che la preoccupazione principale è data non tanto dagli Stati arabi in quanto tali ma dai gruppi estremisti radicali che cercano di egemonizzare le rispettive società civili in cui proliferano attraverso la legittimazione pubblica della cultura dell’odio, in particolare tra giovani e giovanissimi, come ad esempio dimostrano i casi di Hamas ed Hezbollah e il consenso rilevante di cui tuttora godono in loco. Quello che è necessario, allora, ha concluso l’ambasciatore, è lavorare contemporaneamente in due direzioni diverse ma di per sé complementari: da una parte senz’altro la stipulazione di accordi di pace stabile e duratura tra i singoli Stati della regione, ma dall’altra – non meno importante – trasmettere l’educazione alla pace e al rispetto dell’altro come valori universali nelle scuole e nelle agenzie educative e culturali che formano le giovani generazioni e quelle che saranno le classi dirigenti di domani.

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